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mercoledì 11 aprile 2012

Cassazione Penale, Sezione V, Sentenza n. 8555 del 5 marzo 2012 [Se il dipende cancella dei dati è configurabile il furto e il danneggiamento aziendale]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
 
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Catania confermava la sentenza del 27 novembre 2009 con la quale il Tribunale di quella stessa città-sezione distaccata di Mascalucia aveva dichiarato S. R. colpevole dei reati a lui ascritti (ai sensi degli artt. 61 n. 11 e 635 bis c.p. per avere cancellato, nella qualità di dipendente della ditta individuale G. una gran quantità di dati dall’ hard disc del personal computer della sua postazione di lavoro ed ai sensi degli artt. 61 n. 11 e 624 c.p. per essersi impossessato di diversi cd rom contenenti i back-up successivi al 25.6.2004, sottraendoli al titolare della ditta S.) e, per l’effetto, ritenuta la continuazione e con la concessione delle attenuanti generiche ritenute equivalenti alla contestata aggravante, l’aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia, nonché al risarcimento dei danni in favore della persona offesa, costituitasi parte civile, oltre consequenziali statuizioni di legge.
 
Avverso la pronuncia anzidetta, il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura indicate in parte motiva.
 
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. — Il primo motivo d’impugnazione denuncia violazione dell’art. 606 lett. b) in relazione all’art. 635 bis c.p., sul rilievo dell’insussistenza degli estremi del contestato reato, specie alla luce della testimonianza del tecnico informatico C. A., che aveva riferito che dopo la cancellazione i dati informatici erano stati recuperati. 
 
Contesta inoltre la valutazione dei giudici di merito in ordine alla natura dei dati cancellati, alla data dell’operazione ed al tipo di programma utilizzato per il recupero dei dati.
Il secondo motivo deduce violazione dello stesso art. 606 lett. e) sotto il profilo dell’apprezzamento delle risultanze di causa, segnatamente in punto di ascrivibilità del fatto all’imputato, che aveva avuto luogo sulla base di dati meramente congetturali.
 
Con i motivi nuovi parte ricorrente denuncia violazione dell’art. 606 lett. b) e c) in relazione all’art. 635 bis. Contesta, in proposito, che l’affermazione di responsabilità sia stata affidata alle risultanze di una operazione tecnica affidata a persona di dubbia competenza, il C.          A., peraltro effettuata senza il contraddittorio tra le parti, benché irripetibile.
 
Il secondo motivo lamenta la mancata effettuazione di apposta perizia tecnica.
 
2. — La prima censura dubita della sussistenza degli estremi del reato ipotizzato (danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici). La ratio della doglianza risiede nell’assunto secondo cui, essendo stati recuperati i files cancellati, in esito all’intervento di un tecnico di fiducia della ditta interessata, non ricorrerebbe la fattispecie delittuosa, che postulerebbe, in una delle alternative prospettazioni, la cancellazione in senso di definitiva rimozione dei dati cancellati dalla memoria del computer.
 
La censura è destituita di fondamento, sia in linea astratta, che con riferimento alle peculiarità della fattispecie concreta.
 
Prendendo le mosse dalla dimensione fattuale, è vero che dall’istruttoria dibattimentale, attraverso l’escussione del teste che, su incarico della ditta, aveva effettuato l’operazione di recupero, risultava l’effettivo salvataggio dei files cancellati, ma è pur vero che il tecnico aveva riferito di non avere aperto gli stessi e che, solo in esito alla loro apertura, se ne sarebbe potuta verificare l’integrità. Dall’escussione di altri testi era, poi, emerso che, inutilmente, se ne era tentata l’apertura, in quanto buona parte dei flles erano irrecuperabili.
 
Senonché, anche dal punto di vista meramente formale, il rilievo difensivo è infondato, in quanto il lemma cancella che figura nel dettato normativo non può essere inteso nel suo precipuo significato semantico, rappresentativo di irrecuperabile elisione, ma nella specifica accezione tecnica recepita dal dettato normativo, notoriamente introdotto in sede di ratifica di convenzione europea in tema di criminalità informatica (con legge 23 dicembre 1993, n. 547). 
 
Ebbene, nel gergo informatico l’operazione della cancellazione consiste nella rimozione da un certo ambiente di determinati dati, in via provvisoria attraverso il loro spostamento nell’apposito cestino o in via “definitiva” mediante il successivo svuotamento dello stesso. 
 
L’uso dell’inciso per evidenziare il termine “definitiva” è dovuto al fatto che neppure tale operazione può definirsi davvero tale, in quanto anche dopo lo svuotamento del cestino i files cancellati possono essere recuperati, ma solo attraverso una complessa procedura tecnica che richiede l’uso di particolari sistemi applicativi e presuppone specifiche conoscenze nel campo dell’informatica. 
 
Di talché, sembra corretto ritenere conforme allo spirito della disposizione normativa che anche la cancellazione, che non escluda la possibilità di recupero se non con l’uso — anche dispendioso — di particolari procedure, integri gli estremi oggettivi della fattispecie delittuosa. Il danneggiamento che è presupposto della previsione sostanziale, sottospecie del genus rappresentato dal reato di danneggiamento di cui all’art. 635 c.p., deve intendersi integrato dalla manomissione ed alterazione dello stato del computer, rimediabili solo con postumo intervento recuperatorio, e comunque non reintegrativo dell’originaria configurazione dell’ambiente di lavoro.
 
Si tratta, dunque, di attività produttiva di danno, in quanto il recupero, ove possibile, comporta oneri di spesa o, comunque, l’impiego di unità di tempo lavorativo.
 
Nel caso di specie, oltretutto, non mancava neppure la componente del danneggiamento in senso fisico, in quanto i files in buona parte recuperati non potevano più essere aperti e, quindi, erano definitivamente perduti, segno evidente che la cancellazione era avvenuta con l’uso di apposito sistema di sovrascrittura.
 
La seconda censura, relativa alla riferibilità del fatto all’imputato è inammissibile, in quanto meramente reiterativa di questione già prospettata in sede di appello, in ordine alla quale la risposta del giudice a quo non può ritenersi carente od opinabile. 
 
L’ascrivibilità soggettiva non può ritenersi frutto di gratuite congetture, tenuto conto delle indirette ammissioni dello stesso imputato (che ha riferito delle forti tensioni esistenti nella realtà di lavoro e del particolare risentimento da parte sua, che lo avevano indotto alle dimissioni), dell’accertata manomissione del suo computer e, soprattutto del fatto, che l’irrecuperabilità di alcuni files “salvati” era dovuta anche all’apposizione di password, che soltanto lo S. conosceva.
 
Il primo dei motivi nuovi dedotti dalla difesa non é pertinente, in quanto. nel caso di specie, non si è trattato di indagine tecnica disposta dall’autorità o dalla p.g. che avrebbe comportato il rispetto delle garanzie di difesa, ma di incarico conferito dalla ditta danneggiata ad un tecnico di fiducia perché procedesse al tentativo di recupero dei files cancellati.
 
Del mancato espletamento di perizia tecnica, oggetto del secondo motivo, il ricorrente non ha ragione di dolersi, posto che la perizia è mezzo di prova notoriamente neutro, sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, sicché non può, per definizione, avere carattere di decisività (cfr. Cass. sez. 4, 221.2007, n. 14130, rv.236191).
 
3. — Per quanto precede, il ricorso deve essere rigettato, con le consequenziali statuizioni espresse in dispositivo.
 
P.Q.M.
 
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 
Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18 novembre 2011.

giovedì 5 aprile 2012

Cassazione Penale, Sezione III, Sentenza n. 12479 del 3 aprile 2012 [Costituisce reato usare una falsa identità per acquistare su aste on line ]


RITENUTO IN FATTO

1.    - Con sentenza del 17 novembre 2010, la Corte d'appello di Roma ha parzialmente confermato, riducendo la pena, la sentenza del Tribunale di Roma, con cui l'imputato era stato condannato per il reato di cui all'articolo 494 cod. pen. - così diversamente qualificato il fatto di cui all'imputazione originaria - per avere, in concorso con altro soggetto e senza il consenso dell'interessata, al fine di trarne profitto o di procurare a quest'ultima un danno, utilizzato i dati anagrafici di una donna, aprendo a suo nome un account e una casella di posta elettronica e tacendo, così, ricadere sull'inconsapevole intestataria le morosità nei pagamenti di beni acquistati mediante la partecipazione ad aste in rete.

2.    - Avverso la sentenza l'imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento.

2.1.    - Con un primo motivo di impugnazione, si deduce l'erronea applicazione dell'articolo 494 cod. pen., perche l'imputato avrebbe utilizzato i dati anagrafici della vittima solo per iscriversi al sito di aste on-line, partecipando poi alle aste con un nome di fantasia; e non vi sarebbe, in linea di principio, alcuna necessità di servirsi di una vera identità per comprare oggetti on-line, ben potendo utilizzarsi uno pseudonimo. Né potrebbe trovare applicazione, nel caso di specie, quanto affermato dalla Corte di cassazione, sez. V 8 novembre 2007. n. 46674, perché detta decisione si riferirebbe alla diversa fattispecie della creazione di un account di posta elettronica apparentemente intestato ad altra persona e della sua utilizzazione per intessere rapporti con altri utenti, traendoli in errore sulla propria identità personale. Sempre per la difesa, la circostanza che il venditore mancato sia andato alla ricerca delle generalità dell'acquirente apparente sarebbe ininfluente ai fini della configurazione del reato, non essendo il normale comportamento di un soggetto fruitore de! servizio di aste on-line quello di voler conoscere le generalità dell'altro contraente nel momento in cui il pagamento dell'oggetto venduto non è stato effettuato.

2.2.    - Si deducono, in secondo luogo, la nullità della sentenza in relazione all'articolo 62, n.

6), cod. pen., nonché il difetto di motivazione in ordine alla richiesta di concessione dell'attenuante

del risarcimento del danno. La difesa lamenta, sul punto, che la Corte d'appello avrebbe negato la

concessione di detta attenuante.

Partecipando poi alle aste con un nome di fantasia; e non vi sarebbe, in linea

li principio, alcuna necessità di servirsi di una vera identità per comprare oggetti on-line, ben

©tendo utilizzarsi uno pseudonimo. Né potrebbe trovare applicazione, nel caso di specie, quanto

ffermato dalla Corte di cassazione, sez. V 8 novembre 2007. n. 46674, perché delta decisione si

[ferirebbe alla diversa fattispecie della creazione di un account di posta elettronica apparentemente

itestato ad altra persona e della sua utilizzazione per mtessere rapporti con altri utenti, traendoli in

rrore sulla propria identità personale. Sempre per la difesa, la circostanza che il venditore mancato

a andato alla ricerca delle generalità dell'acquirente apparente sarebbe ininfluente ai fini della

^figurazione del reato, non essendo il normale comportamento di un soggetto fruitore del servizio

aste on-line quello di voler conoscere le generalità dell'altro contraente nel momento in cui il

il pagamento dell'oggetto venduto


corrispondente pena pecuniaria, determinata in € 7500,00 di multa, senza tenere conto del fatto che, all'epoca del commesso reato, era previsto un ragguaglio di € 38,00 al giorno, dovendosi applicare la legge più favorevole reo. Rileva, in particolare, il ricorrente che il fatto è del febbraio 2005, epoca precedente all'entrata in vigore dell'articolo 3, comma 62, della legge n. 94 del 2009. che ha modificato l'art. 135 cod. pen., prevedendo, per ogni giorno di pena detentiva, la sanzione sostitutiva della somma di € 250,00 di pena pecuniaria, in luogo dell'originaria somma di € 38.00.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. - Il ricorso è solo parzialmente fondato

3.1.    - Il primo motivo di impugnazione - con cui si deduce l'erronea applicazione dell'articolo 494 cod. pen.. perché l'imputato avrebbe utilizzato i dati anagrafici della vittima solo per iscriversi al sito di aste on-line, partecipando poi alle aste con un nome di fantasia - è infondato.

Deve rilevarsi che - contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente - la partecipazione ad aste on-line con l'uso di uno pseudonimo presuppone necessariamente che a tale pseudonimo corrisponda una reale identità, accertabile on-line da parte di tutti i soggetti con ì quali vengono concluse compravendite. E ciò. evidentemente, al fine di consentire la tutela delle controparti contrattuali nei confronti di eventuali inadempimenti. Infatti, come evidenziato dalla giurisprudenza di questa Corte, integra il reato di sostituzione di persona (art. 494 cod. pen.), la condotta di colui che crei ed utilizzi un account di posta elettronica, attribuendosi falsamente le generalità di un diverso soggetto, inducendo in errore gii utenti della rete internet, nei confronti dei quali le false generalità siano declinate e con il fine di arrecare danno al soggetto le cui generalità siano state abusivamente spese (Sez. V 8 novembre 2007, n. 46674, Rv. 238504).

Tali principi trovano applicazione anche nel caso di specie, in cui risulta pacifico che l'imputato avesse utilizzato i dati anagrafici di una donna aprendo a suo nome un account e una casella di posta elettronica, facendo, così, ricadere sull'inconsapevole intestataria, e non su se stesso, le conseguenze dell'inadempimento delle obbligazioni di pagamento del prezzo di beni acquistati mediante la partecipazione ad aste in rete.

3.2.    - Il secondo motivo di ricorso - con cui si lamenta che la Corte d'appello avrebbe negato la concessione dell'attenuante di cui all'art. 62, n. 6), cod. pen., sull'assunto che la somma versata dall'imputato in favore della parte offesa sembra coprire appena le spese sostenute dalla predetta per partecipare al procedimento di primo grado, mentre la stessa parte offesa avrebbe ammesso nel giudizio di primo grado, di non aver avuto alcun nocumento economicamente apprezzabile dall'intera vicenda - è inammissibile, per genericità.

La difesa di parte ricorrente si limita, infatti, ad affermare che la persona offesa avrebbe ammesso in primo grado di non aver avuto un documento apprezzabile dall'intera vicenda, senza specificare quale sia stato il momento del versamento della somma di € 300,00 in favore della stessa persona offesa (se precedente al giudizio, come richiesto dal citato numero punto 6) dell'articolo 62 cod. pen.) e, soprattutto, senza procedere, neanche in via di mera prospettazione, ad una quantificazione di massima del danno provocato. A tali considerazioni deve, peraltro, aggiungersi quanto correttamente rilevato dalla Corte d'appello circa l'evidente irrisorietà dell'importo versato, che sembra coprire appena le spese sostenute dalla persona offesa per partecipare al procedimento di primo grado.

3.3. - Fondato è, invece, il terzo motivo di gravame, relativo alla quantificazione della pena.

Dalla lettura della sentenza impugnata, emerge, infatti, che la pena pecuniaria irrogata in sostituzione di quella detentiva è stata calcolata in base al disposto dell'articolo 135 cod. pen., nel testo vigente a seguito della modifica apportata dall'articolo 3, comma 62, della legge n. 94 del 2009; e, dunque, sulla base della somma giornaliera di € 250,00. Come correttamente osservato dal ricorrente, il fatto contestato è del febbraio 2005, data precedente all'entrata in vigore di detta modifica. Deve, perciò, trovare applicazione il criterio di ragguaglio previgente, in ragione di € 38,00 al giorno.

4. - Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, limitatamente alla sanzione sostitutiva, che deve essere rideterminata in € 1140.00 (somma ottenuta moltiplicando il valore giornaliero di € 38,00 per 30 giorni di pena detentiva).

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla conversione della pena pecuniaria, che rideterminata in € 1140,00. Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2011.

Depositata in cancelleria il 3 aprile 2012

martedì 3 aprile 2012

Cassazione Penale, Sezione V, Sentenza n. 44126 del 29 novembre 2011 [Per un Commento di carattere diffamatorio di un lettore Il direttore della Testata on line non è responsabile]

RITINUTO IN PATTO

propone ricorso per cassazione avverso 121 sentenza n. 10062/11 della Corte
d'appello di Bologna, con la quale è stata confermata la sentenza di condanna del tribunale di
Bologna per Il reato di cui agII artt. 57 e 57 bis c.p. perché, In qualità di diretlrice responsabile
dell'edlzfone on-lìne del settimanale L'espresso, ometteva Il controllo necessario ad impedire la
ccmml sslone del reato di dlffamazione aggravata da parte di al danni di
(reato accertato/commesso In Bologna nell'aprile del 2004).

Contro la sentenza di appello la ricorrente muove due ordini di censure ; sotto un profilo di
violazione di legge lamenta l'erronea interpretazione dell'articolo 57 c.p., laddove è stato
ritenuto applicabile anche al direttore di un periodico on /ine, mentre sarebbe riferlblle solo al
periodici "cartacei". Né sarebbe applicabile l'art. 57 per analogia, comportando tale
interpretazione analogica effetti sfavorevoli per l'Imputato.

Con un secondo motivo di ricorso, la chiede l'annullamento senza rinvio della sentenza
impugnata per prescrizione del reato i afferma la ricorrente che Il reato di omesso controllo
deve ritenersi consumato nel momento In cui non è stata impedita la pubblicazione
diffamatoria.

 Il Procuratore Generale ha concluso per l'accoglimento del ricorso, In quanto ,la pubblìcazlone
on IIne non consente un controllo preventivo e non è comunque assimilabile alla stampa
periodica " t radizionale" ; per questi motivi chiede disporsi l'annullamento senza nnvio.
Per l'Imputata è presente l'avv. Il quale rileva che non si trattava di un commento
giornalistico, ma di un post Inviato alla rivista e doè di un commento di un lettore che viene
automaticamente pubblicato, senza alcun f1Itro preventtvo: consapevoli di questo sviluppo
cronologico del fatti, i giudici di merito hanno addebitato alla non l'omesso controllo,
ma l'omessa rimoz ione del commento, così non 5010 provvedendo ad un'inammissibile analogia
in ma/am partem, vietata In materia penale, ma altresi stravolgendo la norma ìncnmmat r tce,
che punisce Il mancato Impedimento della pubblicazione, e non Invece l'omissione di controllo
successivo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L'articolo 57 del codice penale, che punisce i reati commessi col mezzo della stampa periodica,
sanziona penalmente li direttore o Il vice-orrettcre responsabile Il quale ometta di esercitare sul
contenuto del periodico da lui diretto il controllo necessario ad Impedire che, col mezzo della
pubblicazione, siano commessi reati.

L'articolo 1 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa) reca la definiZione di
stampa nei seguenti termini: "Sono consìderete stampe o stampati, al fini di questa legge,
tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico·chlmlcl, In
qualsiasi modo destinate alla pubblicazione".

Ciò premesso, si deve valutare se il direttore di un periodico on J/ne risponda del reato di cui
all'articolo 57 del codice penale, per omesso controllo sul contenuti pubblicati.
Giova, sul punto, richiamare una recente pronuncia di questa stessa sezione che esclude la
responsabilità del direttore di un giornale on /lne e che Il collegio ritiene di condividere (Sez. S,
Sentenza n. 35511 del 16/07/2010, Brembilla); 

In prlmo luogo 51 deve ribadire che al sensi della legge sulla stampa sono considerate stampe o stampati le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, In qualsiasi modo destinate alla pubblicazione. Dunque, perché possa parlarsi di stampa in senso giu ridico (al sensi della legge
n. 47 del 1948), occorrono due condizioni : a) che vi sia una riproduzione tipografica, b) che Il
prodotto di tale attività (quella tipografica) slll destinato alla pubblicazione attraverso una
effettiva distribuzione tra Il pubblico.

Le pubblicazioni rese note mediante la rete informatica difettano di entrambi i requisiti, In
quanto non consistono In molteplici riproduzioni su più supporti flslci di uno stesso testo
redatto in originale, al fine deila distribuzione presso il pubbilco ; il testo pubblicato su Internet
esiste - quale luogo di divulgazione della notizia • .solamente nella pagina di pubblicazione,
anche se può essere visuallzzato sugli schermi di un numero indeflnlto di dlspositiY'l hardware .
La diffusione del contenuto del periodico an-Iine avviene dunque non mediante la distribuzione
del supporto fisico In cui è Inserito (che r ichiederebbe comunque la mediazione di un apparato
di lettura, mentre la stampa tipografica è Immediatamente fruibile dal lettore), quanto
piuttosto attraverso la visualizzazione del suo contenuto attraverso I terminali collegat i alla
rete ; non diversamente, mutatis mutandis , da Quanto avviene per le notizie trasmesse dal
telegiornali, che vengono visuauzzate sugli apparati priva ti dei telespettatori.

E la giurisprud enza di questa Corte ha negato (ad eccezione della sentenza n. 12960 della Sez.
feriale, p.u. 31.8.20 00 , dep. 12 .12. 2000, Cavallina, non massimata) che al direttore della
testata televisiva sia applicabile la normativa di cui all'art. 57 c. p. (cfr Sez. 2, Sentenza n.
34717 del 23/04/200,8 Rv. 240687, Matacena ; Sez. 1, Sentenza n. 1291 del 27/02/1996, Rv.
205281), proprio per la diversità strutturale trl!l i due mezzi di comunicazione e per ll!l 'Impossibilità di operare, In materia penale, una analogia In mstsm pertem, D'altronde,.. sono evidenti le differenze anche neUe modalità tecniche di .t rasmJsslone -del ,messaggio a seconda del mezzo utilizzato : nel caso della stampa vi è la consegna materiale dello stampato e la sua lettura diretta ed Immediata da parte del destinatario; nelle
trasmissioni radlotelevlslve classiche vi è la irrlldlazlone nell'etere e la percezione audiovisiva
da parte di chi 51 slntonlzza sulla frequenza di t~smlsslone; nel caso di pubblicazione In
Internet la trasmissione awiene telematicamente tramite un Internet provider, sfruttando la
rete telefonica fissa o cellulare.

Pertanto, per le pubblicazioni a mezzo della rete Informatica, quantomeno per quelle che come
nel caso di specie - vengono "postete" direttamente dall'utenza, senza alcuna possibilità
di controllo prev entivo da parte del direttore della testata, deve essere svolto un discorso
analogo a quello operato In materia radlotelevisiva ,
D'altronde, non vi è solamente una diversità strutturale tra I due mezzi di comunicazione
(carta stampata e Internet), ma altresì la Impossibilità per Il direttore della testata di impedire
la pubblicazione di commenti diffamatori, Il che rende evidente che la norma contenuta
nell'articolo 57 del codice penale non è stata pensata per queste situazioni, perché
cost ringerebbe Il direttore ad una attività Impossibile, ovvero lo punirebbe automaticamente ed
oggettivamente, senza dargli la possibilità di tenere una condotta lecita. 

E di ciò si rende conto anche la sentenza Impugnata, laddove afferma che • non essendo possibile una censura
preventiva, e dunque non potendo " ..lmputa rsl al direttore responsabile "omesso controllo di
ciò che, fino a quel momento, non poteva sapere venisse pubblicato••Il • la avrebbe
dovuto svolgere una verifica successiva delle Inserzioni già avvenute, espungendo quelle a
contenuto diffamatorio. Così facendo, però, il giudice di appello ha indebitamente modificato la
fattispecie normativa prevista dall 'arti colo 57 del codice penale, sanzionando una condotta
diversa da quella t lplzzata dal legislatore.

Dunque, l'Inapplicabilità dell 'articolo 57 del codice penale al direttore delle riviste on line
discende sia dalla impossibili tà di ricomprendere quest'ultima attività nel concetto di stampa
periodica, sia per l'oggettiva impossibilità del direttore responsabile di rispettare il precetto
normativa, il che comporterebbe la sua punizione a titolo di responsabilità oggett iva, dato che
verrebbe meno non solo Il necessario collegamento psichlco tra la condotta del soggetto
ast rattamente puniblle e l'evento veriflcat osl, ma lo stesso nesso causale.

Né si può argomentare ex lege 62 del 2001, richiamata nella sentenza di primo grado, per
sostenere la asslmilabilità dell 'edito ria elettronica alla stampa per1od lca; l'articolo uno della
predetta legge, Infatti, afferma espressamente che si applicano all 'editoria elettronica le
o1isposlzlonl contenute nell'articolo 2 (relative alle Indicazioni obbligatorie sugli stampati ) e a
certe condizioni, anche quelle dell'articolo cinque (sull'obbligo di reg istrazione) della legge sulla
stampa ( legge 8 febbra io 1948, numero 47) . La legge 62/2001, operando un rinvio specifico e
limitato dimostra esattamente il contra rio di quanto sosten uto dal giud ice di prtmo grado e d oè
che la normat iva sulla stampa non sarebbe autonomamente applicabile, essendo necessario a
tal fine un richiamo espresso di singole ctspcsmcru.

La circostanza, poi, che Il contenute del periodIco possa essere copiato e riprodotto , ovvero
stampato dlll lettori, non muta i termin i della questione, dato che la riproduzione su un
supporto fisico per poter essere considerata stampa al sensi della legislazione speciale e
dell'articolo 57 del codice penale deve precedere la distribuzione ed essere 8 questa finalizzata ,
olt reché realizzata dall'editore; pertanto, nessun rilievo ha la riproduzione fisica su carta
operata dal lettore, non solo perché meram ente eventuale (ed In alcuni casi anche Impossibile ;
si pensi alle notizie divulgate in Internet tramite filmat i o registraz ioni audio) , ma anche perché
non finalizzata alla distribuzione; e d'altronde, une eventuale distribuzione successiva alla
pubblicazione in Internet, operata da soggetti te rzJ, potrebbe comportare esclusivamente una
responsabilità di questi ultimi, sfuggendo tale condotta a qualsiasi cont rollo da parte
dell'editore e del direttore responsabile della rivista (e d'altronde verrebbe tot almente meno, in
questo caso, Il nesso causale) .

Esistono poi altri profili per I quali le pubb licazionI on-Une non possono. essere ric:ondotte ai__
concetto di stampa period ica; tali profili sono stati esaurientemente e condivl slbllmente
esaminati dalla sentenza di questa sezione, richiamata In apertura della motivazione, cui 51
rtmanda per ogn i ulteriore approfondimento.

Deve Quind i ritenersi, conduslvamente, che Il pertod lco on-Une non possa essere considerato
" stampa- al sensi dell'articolo 57 del codice penale e che pertanto la condotta contestata alla
di non aver Impedito la commissione del reato di diffamazione In danno di
, non sia prevista dalla legge come reato.

p.q.m.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché Il fatto non è previsto dalla legge come
reato.

Cosi deciso In Roma Il 28 ottobre 2011

Corte costituzionale, Ordinanza n. 337 del 12 dicembre 2011 [Il proprietario o l'editore del sito web non è responsabile in sede civile]


 ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 11 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa), promosso dal Tribunale di Alessandria, in composizione monocratica, nel procedimento penale a carico di P.G. con ordinanza del 24 gennaio 2011, iscritta al n. 144 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell’anno 2011.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 novembre 2011 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo.

Ritenuto che il Tribunale di Alessandria, in composizione monocratica, con ordinanza depositata nella cancelleria della Corte il 24 gennaio 2011 ha sollevato, con riferimento all’articolo 3, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 11 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa) «nella parte in cui esclude dalla responsabilità civile ivi prevista il proprietario ed editore del sito web, sul quale vengono diffusi giornali telematici»;

che, come il giudicante riferisce, egli è chiamato a pronunciare nel processo a carico di P.G., imputato del delitto di cui all’art. 595 del codice penale «perché, quale autore dell’articolo “Minorenne costretta a prostituirsi: storia di amori, sfruttamento e orge”, pubblicato sul sito Giornal.it, offendeva la reputazione di B.R., falsamente indicando che questi era stato arrestato per favoreggiamento. Con l’aggravante di aver commesso il fatto con il mezzo della stampa, attribuendo un fatto determinato»;

che, in prima udienza, la persona offesa B.R. si era costituita parte civile, chiedendo la citazione quale responsabile civile della E. s.r.l., società editrice del giornale on line, sul cui dominio era comparso l’articolo ritenuto diffamatorio;

che, disposta dal giudicante la citazione, la detta società si era costituita ed aveva proposto istanza di esclusione, sulla quale il pubblico ministero si era rimesso alla giustizia, mentre la parte civile ne aveva chiesto il rigetto, con l’argomento che, diversamente opinando, si sarebbe creata una ingiustificata minor tutela delle vittime di reati commessi mediante la diffusione in rete, rispetto a quella prevista per i medesimi reati commessi col mezzo della stampa;

che il responsabile civile è il soggetto tenuto, a norma dell’art. 185, secondo comma, cod. pen. a rispondere «a norma delle leggi civili» per il fatto dell’imputato e con costui in solido;

che il soggetto chiamato a rispondere come responsabile civile, a sostegno dell’istanza di esclusione, ha dedotto l’impossibilità di applicare al direttore del giornale telematico la responsabilità penale per culpa in vigilando prevista dall’art. 57 cod. pen. nei confronti del direttore o del vice-direttore del periodico stampato, in ossequio al principio di tassatività della fattispecie penale, corollario del principio costituzionale di stretta legalità, sancito dall’art. 25, secondo comma, Cost.;

che, tuttavia, nel caso in esame, ad avviso del rimettente, si verte in tema di responsabilità civile, sicché viene in considerazione non l’art. 57 o l’art. 57-bis cod. pen., ma il disposto dell’art. 11 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, recante «Disposizioni sulla stampa», ai sensi del quale «per i reati commessi col mezzo della stampa sono civilmente responsabili, in solido con gli autori del reato e fra di loro, il proprietario della pubblicazione e l’editore»;

che neppure questa norma, peraltro, consente un’interpretazione analogica, perché limita espressamente la responsabilità civile dell’editore ai reati commessi col mezzo della stampa, ossia con riproduzioni tipografiche le quali vengano diffuse tra il pubblico su supporto cartaceo;

che, ai sensi dell’art. 11 (recte: art. 12) delle disposizioni sulla legge in generale, stante il chiaro significato letterale della norma, non è consentito il ricorso all’interpretazione analogica, previsto dal secondo comma soltanto nel caso in cui si verifichi un vuoto normativo;

che, tuttavia, ad avviso del giudicante, è dubbia la compatibilità della norma col principio di uguaglianza, sancito dall’art. 3 Cost., in quanto essa accorda una tutela ingiustificatamente più ampia alle persone offese da reati commessi col mezzo della carta stampata, rispetto a quelle che il medesimo reato abbiano subito col mezzo di un giornale telematico;

che tale disparità di trattamento non è giustificata, perché la diffusione della rete internet, avvenuta negli ultimi anni, consente ai giornali telematici una divulgazione potenzialmente analoga, se non superiore, a quella dei giornali stampati;

che la questione sarebbe rilevante, perché il rimettente, applicando la norma de qua, dovrebbe accogliere l’istanza di esclusione formulata dal responsabile civile;

che nel giudizio dinanzi a questa Corte è intervenuto, con atto depositato il 19 luglio 2011, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata, in quanto nella normativa vigente già sarebbe possibile rinvenire la soluzione della questione stessa, «nel senso che nulla osta all’applicazione della disciplina dei reati commessi a mezzo della stampa, prevista dalla legge n. 47 del 1948, anche all’informazione on line, purché si tratti di informazione professionale e registrata».

Considerato che il Tribunale di Alessandria, in composizione monocratica, dubita, in riferimento all’articolo 3, primo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 11 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa), nella parte in cui esclude dalla responsabilità civile ivi prevista il proprietario ed editore del sito web, sul quale sono diffusi giornali telematici;

che, in tal modo, sarebbe accordata una tutela ingiustificatamente più ampia alle persone offese da reati commessi col mezzo della carta stampata, rispetto alle persone che abbiano subito il medesimo reato col mezzo di un giornale telematico, avente ormai una diffusione potenzialmente analoga a quella dei giornali stampati;

che, in base alla ricostruzione del rimettente, la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma censurata dovrebbe condurre a qualificare come illecita la condotta di soggetti (il proprietario e l’editore del sito web, sul quale vengono diffusi giornali telematici recanti notizie ritenute diffamatorie) non compresi nella previsione di detta norma nel momento in cui la condotta stessa fu realizzata;

che, tuttavia, l’eventuale accoglimento della questione non potrebbe condurre ad una pronuncia di condanna al risarcimento del danno del presunto responsabile civile nel giudizio a quo, perché, come è stato già chiarito, «una sentenza di questa Corte non può avere l’effetto di rendere antigiuridico un comportamento che tale non era nel momento in cui è stato posto in essere» (sentenza n. 202 del 1991; ordinanza n. 71 del 2009);

che, infatti, la condotta di un soggetto può essere assunta a fonte di responsabilità civile per il risarcimento dei danni soltanto se, quando fu compiuta, sussisteva un preciso obbligo giuridico sancito da una norma conoscibile dall’agente (sentenza n. 202 del 1991 citata, punto 4 del Considerato in diritto);

che, per conseguenza, la questione di legittimità costituzionale sollevata dal rimettente non è rilevante nel giudizio principale, nel quale la persona offesa ha chiesto la citazione come responsabile civile della società editrice del giornale online, unicamente allo scopo di ottenere una condanna al risarcimento del danno, che, per i motivi esposti, non potrebbe essere, comunque, pronunciata;

che, pertanto, la detta questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 11 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa), «nella parte in cui esclude dalla responsabilità civile ivi prevista il proprietario ed editore del sito web, sul quale vengono diffusi giornali telematici», sollevata, in riferimento all’articolo 3, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Alessandria, in composizione monocratica, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 2011.

lunedì 2 aprile 2012

Come configurare la chiavetta Onda MT503HSA DUCATI con un operatore diverso da TIM

Oggi vi spiego come configurare la vostra chiavetta Onda MT503HSA con tutti gli operatori in modo legale e senza manomettere nulla, la procedura che segue spiega come cambiare alcuni parametri del software di connessione del prodotto ONDA per l’utilizzo con un operatore diverso da TIM manualmente con dei semplicissimi passi.

 





Iniziamo passo a passo:

1) Inserite la chiavetta e istallate il software apposito, avviare il software ONDA e attendere che il prodotto si avvii.

2) Andate nella sezione impostazioni Cliccare sul pulsante "Impostazioni", poi cliccate su Rete e successivamente su Configurazione.

 
3) Nella sezione "configurazione" spuntate Aggiungi RAS configurazione e cliccare su Aggiungi.

4) Nella voce che appare inserire il nome del nuovo profilo ad es. Wind, il numero di connessione
che dovete inserire è *99#, a questo punto spuntare la voce “Usare il seguente nome APN” e inserire nella relativa casella l’APN dell’operatore ch fra poco vi indicherò.

Di seguito alcuni degli APN di operatori di telefonia.

Vodafone      web.omnitel.it
Wind               internet.wind
Tre                  naviga.tre.it

Per essere sempre aggiornati su eventuali modifiche di questi ed altri APN è bene chiamare il servizio clienti dell'operatore di cui si desidera configurare il servizio internet.

Una volta inseriti i parametri cliccare su OK.

5) Nella sezione "Connessioni" selezionare il profilo appena creato e cliccare il pulsante
Predefinito in modo che venga riconosciuta subito la vostra sim e che vi permetta di connetervi.

6) adesso riavviate l’applicazione software della vostra chiavetta ONDA, non appena aperto il softaware la chiavetta si connetterà con il profilo selezionato in precedenza.

Buona naviagazione a tutti.